«Felici mi raccomando. FELICITÀ, SORRISI: SORRIDETE!!
La signora col cappello giallo, lì dietro, più felice signora!
Ok potete andare, abbiamo finito.»
Esiste un dipinto del 1878 di Pascal Dagnan-Bouveret intitolato Gli sposi dal fotografo, che definisce visivamente le origini dell’album di nozze. Se andate a guardare il lavoro di Bouveret troverete degli sposi immobili e in attesa davanti a una vecchia macchina fotografica, di quelle grandi e con i piedi ben piantati a terra.
Ecco, guardo questo dipinto e capisco quello che non creo: non creo finzione.
Tutte le sfumature della felicità nella fotografia di Matrimonio
Mi è capitato di chiedere a una coppia di neo-sposi di ripensare al proprio matrimonio e di parlarmene. Mi raccontano della tensione nascosta sotto ai sorrisi ma tradita dal tremolio nervoso del piede, mi parlano delle persone che non ci sono più ma che quel giorno c’erano, di quegli amici che invece ci sono da sempre, dell’assenza di cibo nello stomaco, della presenza dell’alcool, dell’agitazione – ospite imbucata – e alla fine dell’euforia esplosiva. Mentre mi raccontano il giorno della loro unione io penso a quanto tutto questo sia bello, ma penso anche che quello che loro stanno raccontando a me è quello che a volte nella fotografia di matrimonio si cerca di nascondere per far esaltare altro. Ma altro cosa?
Sorrisi inamidati come vestiti, pose bloccate come capelli. Non è questa la realtà, ed è bellissimo.
Il giorno del matrimonio è un giorno di unione: unione tra gli sposi, unione tra famiglie, tra gli amici, tra i parenti, tra persone sconosciute. Al centro di tutto c’è una cosa sola, la felicità. Il compito del fotografo è quello di metterla a fuoco, di coglierla in ogni particolare, anche quando si veste di agitazione.
La fotografia di Matrimonio è come la street photography
«Less is more» diceva il grande architetto Ludwig Mies van der Rohe, e questo vale anche per la mia idea di fotografia di matrimonio. La felicità spesso è una cosa semplice, pulita, che ti travolge come un fiume in piena e ti lascia stordito a prendere fiato.
La fotografia immortala quel fiume che gli sposi sono impegnati a vivere, momenti travolgenti che stordiscono allo stesso modo e che torneranno, certo, ma in piccole dosi e attraverso i ricordi.
Penso alla fotografia di matrimonio come alla street photography: spontanea, veloce, sincera. Un racconto della realtà. Sono attimi rubati, situazioni che non tornano. Servono occhi lucidi, antenne alzate e uno sguardo in grado di scovare ogni complicità, ogni sentimento.
Il fotografo prende in prestito gli occhi degli invitati e diventa onnipresente, in questo modo gli sposi vivranno la giornata più importante della loro vita a 360 gradi ogni volta che vorranno: prima da protagonisti, poi dietro le quinte, da costumisti, tecnici delle luci, coreografi. Alla fine da divertiti spettatori.
Il fotografo come testimone.. di emozioni
Henri Cartier-Bresson parla di Teoria del momento decisivo, cioè l’istante prima e dopo il quale la fotografia non ha più significato. Chi racconterà l’agitazione dei genitori? Chi parlerà della soddisfazione dei nonni? Chi mostrerà l’emozione, la complicità, la pazzia degli amici? È il fotografo a diventare testimone di momenti veloci come la luce.
Saper andare oltre l’immagine, questo deve e può fare la fotografia di matrimonio.
Le imperfezioni esistono e sono preziose, sono quelle che ci fanno innamorare, che ci rendono umani e diversi, come lo è ogni matrimonio.
Immagini come le risate, come gli sguardi, le lacrime: che parlano tutte le lingue del mondo.
La spontaneità è qualcosa che tutti abbiamo, sta nella sensibilità del fotografo saperla vedere e rubare.