In questi ultimi due anni il locale più gettonato e frequentato in tutta Italia è stato “Terapia intensiva”. Un luogo particolare dove molti italiani hanno ricevuto una chance in questo mondo terreno grazie all’operato di persone chiamati “angeli”.

Adesso che la situazione sembra abbastanza sotto controllo, sono riuscito a conoscere di persona questi “angeli” e vedere con i miei occhi dove lavorano.

17 dicembre 2021 Ospedale Ceccarini di Riccione.

Ospedale Ceccarini di Riccione
La fila all’ingresso è abbastanza scorrevole. Dopo il controllo di green pass e temperatura, salgo al 2° piano, unità di anestesia e rianimazione.

Camilla, infermiera professionale, dopo avermi illustrato le procedure di vestizione, disinfezione e opportuna distanza dai pazienti, mi accompagna dentro la sala operativa. La stanza è molto luminosa, il lato destro è completamente vetrato, la luce che entra è confortante. All’interno ci sono 10 posti letto compresi 2 box di isolamento per le emergenze Covid, purtroppo uno già occupato.

La dottoressa Marina Terzitta, primario del reparto, mi accoglie calorosamente, ma il suo sorriso non riesce a nascondere quello che i suoi occhi raccontano. La preoccupazione di un risveglio dell’emergenza affrontata due anni fa è nell’aria.

Non è facile muoversi, il reparto è pieno di macchinari, tubi, carrelli. Avanzo e mi sposto delicatamente per non intralciare e disturbare il lavoro degli operatori. E’ tutto molto stretto e concentrato. La musica degli allarmi dei macchinari e il gorgoglio dell’ossigeno, non fa parte purtroppo del repertorio folkloristico che siamo abituati ad ascoltare in Romagna.

Inizio a scattare qualche fotografia.

Contrariamente a quello che si può immaginare, l’ambiente di lavoro è “positivo”. Vengo colpito dalla grande passione di tutti gli operatori presenti.
Medici e infermieri si prendono cura dei pazienti in modo amorevole come se fossero i loro familiari. E’ il loro lavoro, la collettività pensa che sia normale ma non è scontato. Non sanno chi sono e il motivo della mia presenza. Li guardo negli occhi, l’unica parte scoperta e mi accorgo che i loro volti sorridono. Non sorridono a me, ma ai loro pazienti. Alcuni sono vigili ma la maggior parte sono sedati e intubati. Il contatto visivo e fisico è l’unico metodo comunicativo e di ascolto. Il sorriso utilizzato come arma di supporto non ha effetti collaterali.

Quando purtroppo veniamo travolti da situazioni spiacevoli, i primi a subire la nostra ira sono proprio loro, sempre presenti e primi ad incassare a volte, la parte più brutta di noi.

Non dimentichiamoci che tutti gli operatori sanitari sono persone come noi, hanno una famiglia, hanno una vita e fanno un lavoro che non è invidiabile sotto certi punti di vista. Spesso la loro umanità e sensibilità viene schiacciata da scelte che non dipende dalla loro volontà ma da protocolli del sistema sanitario.

Camilla, Silvia, Maria, Felice, Stefania, Alessia, Roberta e Sara sono solo alcune delle splendide persone che ho conosciuto quel giorno.

Io ho fiducia in queste persone e in generale in tutti gli addetti ai “lavori”. Non scarichiamo la rabbia che abbiamo per la gestione della sanità Italiana sulle uniche persone che possono aiutarci in quel momento, gratifichiamole più spesso cercando un dialogo costruttivo perché alla fine, purtroppo, sono numeri anche loro.

Se volete vedere tutti gli scatti guardate l’album.