Sono nato due volte: la prima nel 1978, la seconda quando ho incontrato la fotografia, nel 2011.
Non sono nato fotografo, o meglio, sono nato fotografo ma l’ho capito tardi, e a cambiarmi la vita sono stati un viaggio e un amico professionista.
Era il 2011 e tornavo dallo Sri Lanka con la mia macchina non professionale, con alcuni scatti interessanti e con la voglia di farli vedere al mio amico.
«Perché non ci provi?» mi rispose quella volta.
Cos’è per me la fotografia. Cosa sono per la fotografia
Da quel momento con il suo aiuto e grazie alla sua pazienza, alla sua fiducia e attraverso la sua conoscenza, ho lasciato che questa strada si illuminasse e l’ho seguita. La fotografia è la strada per la libertà, la mia e quella degli altri. Piangere, ballare, ridere, urlare, solo grazie a lei catturo questi attimi liberi.
Vivo il mondo attraverso la fotografia, attraverso un filtro che ho deciso di mettere sia nei miei occhi che nella mia macchina fotografica: l’emozione.
Fotografare per me significa porre l’attenzione sulle cose importanti, perché a volte ci dimentichiamo quali sono e allora è giusto illuminarle. Grazie alla fotografia accendo una lampadina sui sentimenti, sulle emozioni, sulle relazioni, e il resto sparisce. Attraverso l’obiettivo ho capito quanto sia importante abbandonare lo scatto perfettamente finto per andare incontro alla meraviglia della spontaneità, non più l’immagine chiusa nell’album impolverato, ma quell’emozione fermata da guardare e rivivere ogni volta.
Il fatto è che non è semplice entrare nelle persone e nella loro quotidianità mantenendo la bella spontaneità che ci distingue. È come cercare di entrare in un castello alto, altissimo, senza finestre, senza porte, con guardiani armati, coccodrilli feroci, pesci carnivori, tutte barriere che ci costruiamo. In queste missioni mi affido alle parole prima, alla fotografia poi.
L’importanza dell’emozione
Sono io a mettermi a nudo per primo: per dare coraggio, per darmi coraggio. Con il dialogo scopro chi c’è di fronte a me, piccole chiacchiere per raccogliere le storie dei miei protagonisti. Attraverso l’obiettivo poi catturo quello che vedo: pensieri, stati d’animo, esperienze, risate.
Le storie condivise, come le emozioni, accorciano le distanze.
Se penso a come indossare la fotografia mi viene in mente una giovane Nicole Kidman mentre interpreta la potente e grande fotografa dei freak in FUR. Un ritratto immaginario di Diane Arbus.
Nella scena finale del film Nicole Kidman è nuda e cammina in un parco, attorno a lei altre persone nude. Si ferma davanti ad una ragazza che legge e, vestita della sola macchina fotografica, la saluta.
«Vuoi farmi una fotografia?» chiede la ragazza senza imbarazzo.
«Non ancora» le risponde incuriosita Diane «prima raccontami un segreto».
Ecco la mia fotografia, ecco quello che racconto.
Fotografo perché c’è il bisogno di qualcuno che raccolga le emozioni mentre gli altri sono impegnati a viverle, perché domani, riguardandosi, potrebbero ritrovarle. Ritrovarsi. Da protagonisti a spettatori di se stessi, questo è per me la fotografia.
La vita è un mosaico di esperienze, mentre tu le vivi io le raccolgo.